Consiglio comunale: il dopo condanna/sospensione della presidente Bianco, poche parole spese pari a zero

Trapani – Vi giuro. In attesa di una parola …una, anche di un sospiro o di un mannaggia a me, o un mannaggia a mia in dialetto siculo, ho provato a relazionarmi con formule fisiche e matematiche, anche con la più nota “teoria della relatività”. Mi scuseranno i professori ed i cultori degli studi in materia, gli affezionati e conoscitori di Galilei ed Einstein, ma questa teoria, basata sul principio (cit wikipedia) che le leggi della fisica debbano essere invarianti al cambiamento del sistema di riferimento, oggi viene applicata in politica, con qualche correzione: le leggi su norme giudiziarie debbono essere invarianti sul sistema politico istituzionale. Insomma i politici ad alta voce delle leggi ci dicono ogni giorno, ce ne sbattiamo. Esempi? Tanti, a iosa. Ma oggi non mi occupo del vociare dei politici, ma di certi loro silenzi…assordanti. Mi rendo conto che il tema nel quale mi sto infilando è rognoso e delicato insieme, e mi confermerà nel ruolo di rompiscatole. E’ la mia natura assieme a quella, spesso, di navigare in solitaria.

Da qualche giorno Palazzo Cavarretta sede del Consiglio comunale ha sulla carta (ma anche sul sito web del Comune) un presidente che non c’è. Non ci sarà per diciotto mesi. Condannata per corruzione, legato ad un concorso da lei vinto all’Asp di Trapani, la presidente Annalisa Bianco, è stata sospesa dal prefetto dalla carica di consigliere comunale in applicazione della legge Severino, quella introdotta per colpire i riconosciuti colpevoli di gravi reati, anche i corrotti ed i corruttori, nello specifico quelli che siedono in ruoli istituzionali (Berlusconi perdette a suo tempo il seggio al Senato nel 2013). Sospensione bis. Perché Annalisa Bianco già l’anno scorso fu sospesa, a poche ore dal suo arresto nell’ambito dell’indagine che adesso l’ha vista condannata. Il prefetto l’ha potuta sospendere solo da consigliere comunale, la carica di presidente del Consiglio comunale che comunque Annalisa Bianco, ufficialmente, non potrà esercitare le resta appiccicata addosso.

Ora mi immagino questo gruppo composito di consiglieri comunali, che spesso a parole se ne danno di santa ragione, scesi nella parte di essere dei “senatori”, trovandosi a sedere sugli scranni di quello che la storia della città ci dice chiamarsi Palazzo Senatorio, prima ancora che Palazzo Cavarretta o Palazzo del Consiglio comunale, da “senatori” con certo stile rispetto alle vicende giudiziarie alla strada dello scagliarsi contro la magistratura, brutta, sporca e cattiva, quando sanno di aver torto spacciato, preferiscono il silenzio. Assordante.

Qualche parola quasi bisbigliata, forse nemmeno in corretto italiano, la sospensione della presidente/consigliere Annalisa Bianco è frutto di una vicenda personale, con le istituzioni non c’entra nulla, il reato non maturò dentro il Palazzo Comunale. E quindi? Tutto va bene? Le coscienze politiche sono a posto? Pare che sia così. Pare dico perché mancano le risposte. La prima quella del soggetto protagonista della vicenda, scusate, condanna di primo grado, Annalisa Bianco che se fosse stata soltanto consigliere comunale sospesa avrebbe , forse, avuto il diritto di non dir nulla alla città, ma restando , sulla carta, presidente del Consiglio comunale, il perché di questa sua scelta la dovrebbe pur spiegare. Passi per le non dimissioni dell’anno scorso, la sospensione fu conseguenza della misura cautelare, poi tornò quasi da trionfante dopo la pronuncia revocatoria del tribunale del riesame, ma oggi siano dinanzi ad una condanna, di primo grado, ma sempre di condanna si tratta. Insomma due parole due, tutte sue, almeno stavolta, dovrebbe pur dirle. La condanna è di primo grado, ci sono ancora due gradi di giudizio da farsi, la sospensione è per diciotto mesi, c’è fiducia nella giustizia, ok, va tutto bene, ma Trapani, oggi ha un presidente del Consiglio comunale condannato per corruzione. Vicenda personale per quanto volete che sia, dell’aspetto etico ne vogliamo parlare. Trapani il 21 marzo accoglierà la manifestazione nazionale di Libera a sostegno di tutte le vittime innocenti delle mafie, corteo contro mafie e corruzione, e la seconda carica cittadina risulterà sospesa per una condanna per reato di corruzione, per vincere un concorso pubblico, a dispetto di tanti altri che ai concorsi si presentano dopo mesi e mesi di studio, con la calcolata possibilità di non poterli superare se trovano qualcuno o qualcuna più bravo o più brava.

In silenzio la presidente sospesa, in silenzio a ruota tutti gli altri, i picciotti di Palazzo Cavarretta, così ogni tanto la Bianco li appellava in aula nei momenti più burrascosi e rumorosi, non si fanno nemmeno suggestionare dal fatto di trovarsi in un’aula dove campeggia, sebbene posato per terra e non appeso alla parete, un ritratto di Mauro Rostagno , uno che fece uccidere per aver tentato di fare il terapeuta di un città comandata a bacchetta da mafia e certi politici, oggi di certuni ci sono gli eredi, e in un’aulòa che a suo tempo è stata dedicata ai trapanesi vittime innocenti della mafia. Morti per aver fatto il loro dovere. Come se tutto questo sia slegato dalla realtà, e magari ci dicono che è giusto che sia così. Ma nemmeno questo ci dicono.

Posso dire che tutto questo non mi convince ne mi piace? Mi si potrà rispondere, la tua mancata convinzione non ci tocca, ma almeno una voce potrei dire di averla finalmente sentita.
E’ vero, il miglior e più azzeccato detto trapanese è quello che “a megghio parola è chidda chi un si rice”, la miglior parola è quella che non si dice, ma forse è ora che la miglior parola torni ad essere quella detta.

Trapani, indagine su corruzione, ci sono anche Guarnotta e Bellofiore

Trapani – di Rino Giacalone – La maxi inchiesta sulla presunta corruzione al Comune di Trapani, per la quale la Procura della Repubblica ha emesso un avviso di conclusione delle indagini nei confronti dell’ex assessore comunale e oggi deputato regionale Dario Safina e del manager della srl City Green Light, Christian Valerio, tocca anche la società Trapani Servizi. L’avviso di conclusione delle indagini è stato notificato infatti all’attuale direttore generale della Trapani Servizi, ing. Carlo Guarnotta, e all’ex consulente ing. Rosario Bellofiore. La Trapani Servizi è la società che si occupa della gestione integrata dei rifiuti, in particolare dello smaltimento operato attraverso gli impianti di contrada Belvedere e di contrada Borranea. Guarnotta e Bellofiore sono indagati in concorso per corruzione.

I fatti risalgono al 2022, quando Guarnotta era amministratore unico della società Trapani Servizi e Bellofiore, ex dirigente del Comune di Trapani, si era occupato anche dell’assessorato all’ecologia e ambiente, era consulente esterno della società. Oggetto dell’indagine la procedura che portò alla nomina di Guarnotta a Direttore Generale. Guarnotta avrebbe promesso a Bellofiore la proroga dell’incarico di consulente esterno, in cambio del sostegno alle procedure concorsuali ad evidenza pubblica per la nomina a direttore generale. Secondo le indagini condotte dal Roni (Reparto Operativo Nucleo Investigativo) dei Carabinieri, le previsioni per l’affidamento dell’incarico sarebbe state ritagliate su misura dei requisiti posseduti dall’allora amministratore unico, prossimo a lasciare l’incarico per la nomina del nuovo Cda.

Come già si è scritto l’avviso di conclusione delle indagini tocca anche l’attuale deputato regionale del Pd Dario Safina (le contestazioni a lui mosse dalla Procura risalgono quando lo stesso ricopriva l’incarico dapprima di assessore ai Lavori Pubblici nella giunta comunale di Trapani guidata dal sindaco Giacomo Tranchida, e successivamente di consulente a titolo gratuito della stessa amministrazione) e il manager della City Green Light, Christian Valerio. Ai due vengono contestati i reati di corruzione e di turbativa d’asta. Sotto inchiesta è finita la procedura per gli interventi di miglioramento della pubblica illuminazione cittadina. Una procedura di project financing, affidata alla City Green Light, che però secondo la Procura, che ha avuto ragione anche in un parere dell’Anac, rientrava nei cardini di un vero e proprio appalto, che quindi sarebbe stato turbato nel suo esito finale. Secondo le indagini della Procura, quanto sarebbe stato messo in atto avrebbe avuto come fine il sostegno non solo economico ma anche attraverso sponsorizzazioni, donazioni e promesse di interessamento di diverso genere, garantito da Valerio a Safina sia come assessore ma anche quale prossimo a candidarsi all’elezione a deputato regionale. Nero su bianco la Procura ha scritto che in questa maniera è stata garantita a Safina una certa visibilità anche per conquistare l’utile consenso elettorale. Nell’atto conclusivo vengono indicate dalla Procura di Trapani tutta una serie di eventi e donazioni apposta garantite, come luminarie natalizie, donazione di telecamere per controllo nell’area della fontana di piazza Vittorio Emanuele e dell’Abbeveratoio di borgo Madonna, l’illuminazione delle mura di Tramontana, lavori di illuminazione del campo Aula.

L’avviso di conclusione delle indagini notificato a Safina, Valerio, Guarnotta e Bellofiore è dello scorso 11 dicembre. Gli indagati hanno una ventina di giorni per presentare memorie o chiedere ulteriori accertamenti, la Procura dal canto suo , leggendo il contenuto dell’avviso, al quale sono state allegate anche numerosissime intercettazioni, e avendo acquisito parere dell’Anac e il contenuto di un sequestro per danno erariale eseguito dai Carabinieri , sembra intenzionata a chiedere il rinvio a giudizio degli indagati. L’indagine, come si ricorderà è diventata nota nel gennaio dell’anno scorso, quando vennero eseguite misure cautelari, l’on. Safina venne sottoposto agli arresti domiciliari, per gli altri divieto di dimora e divieto all’esercizio di impresa, anche se poi revocate dal Tribunale del Riesame nelle successive settimane. L’inchiesta frattanto è andata avanti, con l’archiviazione sono usciti dall’indagine Giuseppe Ullo (dirigente amministrativo della Trapani Servizi9 e la società messinese City Green Light.

Corruzione sulla pubblica illuminazione: notifica di conclusione delle indagini all’on. Safina

Trapani – L’indagine non si è fermata, ed è andata avanti. L’inchiesta su nomine pubbliche alla Trapani Servizi e sull’affidamento di una gara bandita dal Comune di Trapani per la manutenzione dell’illuminazione cittadina, che ha tra l’altro coinvolto il deputato regionale del Pd Dario Safina, è arrivata alla sua conclusione. La Procura della Repubblica di Trapani nelle scorse settimane ha fatto notificare agli indagati l’avviso di conclusione delle indagini. Safina, avvocato, ex assessore ai Lavori pubblici di Trapani, deputato del Pd a Palazzo dei Normanni, risponde di turbativa d’asta e corruzione. Stessa accusa per Chistian Valerio, l’energy manager di una società che si occupa di illuminazione pubblica. Avviso di conclusione delle indagini anche per il Direttore Generale e il Direttore Amministrativo della società “Trapani Servizi” spa, l’azienda che a Trapani si occupa della raccolta e del trattamento dei rifiuti nel capoluogo, Carlo Maria Baldassarre Guarnotta e Giuseppe Ullo.
I reati contestati sono a vario titolo quelli di turbativa d’asta, corruzione e rivelazione di notizie riservate: si sarebbero accordati preventivamente fra loro e turbato le due procedure concorsuali ad evidenza pubblica del 2020 e 2021 per la selezione e la designazione del direttore generale della società. L’indagine è nota dal gennaio 2024, quando scattarono le misure cautelari, che il Tribunale del Riesame ha però annullato. Ma l’inchiesta è andata avanti, e oggi la Procura ha acquisito un parere dell’Anac a proposito del project financing per la manutenzione dell’illuminazione pubblica e gli atti di una indagine per danno erariale nel frattempo avviata dalla Procura della Corte dei Conti. L’Anac ha dato ragione alla Procura, quello finito sotto inchiesta non era un vero e proprio appalto per l’illuminazione pubblica, così camuffato da project financing. Safina, l’indagine lo riguarda quando era assessore ai lavori pubblici nella prima Giunta del sindaco Tranchida, è accusato invece di essersi accordato con un imprenditore di Messina (energy manager per la Sicilia di un’importante società operante nel settore della pubblica illuminazione).
Secondo la ricostruzione dei carabinieri il deputato “avrebbe turbato la procedura ad evidenza pubblica di project financing per la manutenzione dell’illuminazione pubblica, informandolo preventivamente sulle tempistiche di pubblicazione, sui contenuti e sull’importo di base del bando, consentendo quindi alla società di ottenere l’aggiudicazione della procedura con la presentazione di un’offerta congrua rispetto a quelle degli altri concorrenti”. Ad uscire dall’indagine è stata la City Green Light di Messina, difesa dal prof. Maurizio Bellacosa e dall’avvocato Donatella Buscaino. La posizione della società è stata definita con l’archiviazione.

Processo al Vescovo Miccichè. Assolto e prescritto

Trapani – La Procura, con il pm Sara Morri, aveva chiesto una condanna a quattro anni e mezzo. La difesa, con l’avvocato Mario Caputo, con due lunghi interventi, il primo lo scorso 16 dicembre, l’ultimo questa mattina, per circa complessivi otto ore di arringa, ha provato a sostenere la totale estraneità del Vescovo Francesco Miccichè, a capo della Diocesi di Trapani dal 1998 sino al giorno della sua rimozione, nel maggio 2012, per volere di Papa Benedetto XVI.

L’accusa è stata quella di peculato, ossia di aver distratto in un lungo periodo, tra il 2007 e il 2012, una ingente somma di denaro, per circa 370 mila euro, dai fondi destinati alla Curia dalla Cei attraverso l’8 per mille. Soldi sottratti ai fondi destinati alle opere caritatevoli e ai sacerdoti, assistenza al clero, che secondo le indagini della sezione di pg della Guardia di Finanza, erano finiti sui conti personali del Vescovo, dei familiari, in investimenti immobiliari. I giudici del Tribunale di Trapani, presidente giudice Franco Messina, a latere giudici Roberta Nodari e Chiara Badalucco, dopo un paio di ore di camera di consiglio sono usciti con una pronuncia di assoluzione, per non aver commesso il fatto, un prelievo di 2 mila euro dell’aprile 2012, e con una pronuncia di prescrizione per il resto dei fatti contestati, a ritroso sino al 2007.

Tra 90 giorni i giudici depositeranno la motivazione di questa pronuncia.

Non è passata la linea della difesa che puntava ad ottenere la totale dichiarazione di estraneità del Vescovo emerito di Trapani dall’accusa di peculato: da ultimo nell’arringa di oggi l’avvocato Mario Caputo, che ha indubbiamente mostrato con grande energia oratoria, lo studio attento degli atti processuali, ha tirato fuori le parole di un sacerdote, da tempo riconosciuto essere uno dei preti più illuminati e capaci della Diocesi, Liborio Palmeri, che ha definito il vescovo Miccichè una persona generosa, quindi se errori ci sono stati, pare dover dedurre, si devono a questa sua indole e per la difesa nemmeno i conti del presunto peculato sono in ordine. Generosità niente affatto riconosciuta esistere nella requisitoria e nella memoria del pm Sara Morri, che semmai ha illustrato la strategica pianificazione messa in atto dal Vescovo Miccichè che puntualmente faceva trasferire sul conto corrente della Diocesi, i fondi dell’8 per mille che annualmente arrivavano sui conti correnti dedicati.

Da una parte si rendicontavano alla Cei i fondi che transitavano dai conti correnti dedicati a ricevere i soldi dell’8 per mille, fuori dal rendiconto alla Cei le entrate e le uscite dal conto corrente della Diocesi da dove mons. Miccichè poi era solito fare dei prelievi, e secondo l’accusa non sempre per esigenze del culto e del clero. Ma la presunta generosità pare non sia stata riconosciuta nemmeno dai giudici, per la pronuncia di prescrizione messa nero su bianco. Se la difesa ha puntato il dito contro i resoconti della spesa fatta dalla Procura, la stessa cosa non hanno fatto i giudici, ad eccezion fatta solo per un prelievo, di 2 mila euro, del 2 aprile 2012.

Bisognerà certo attendere le motivazioni e leggerle nella loro interezza, ma i contorni dello scandalo che ha centrato la Diocesi di Trapani nel periodo culminato nel 2012 con la rimozione decisa da Papa Benedetto XVI e risalente a diversi anni prima, no n sembrano essere stati dissolti dalla pronuncia giudiziaria odierna. Il Vescovo emerito Miccichè non si è mai presentato dinanzi ai giudici, non è stato mai presente in aula in nessuna delle 25 udienze di tutto il processo, durato quattro anni, ieri come nella ‘recedente udienza, durante la quale è intervenuto l’avvocato difensore Mario Caputo, erano presenti la sorella e suo cognato.

“Siamo soddisfatti perché è stato dimostrato che il vescovo Micciché non si è appropriato di denaro”, spiega l’avvocato Mario Caputo. “Leggeremo le motivazioni e valuteremo se rinunciare o meno alla prescrizione”.

Nel fascicolo del processo sono transitate solo i verbali di interrogatorio fatti dai pm nella fase delle indagini. Benedetto XVI nel maggio 2012 pronunciò la rimozione di mons. Miccichè dalla guida della Diocesi di Trapani, dopo che il visitatore apostolico presso la Curia di Trapani, nominato da Papa Ratzinger fu l’allora vescovo di Mazara mons. Mogavero, individuò una serie di gravi comportamenti del Vescovo in carica in violazione dei codici del Vaticano e per movumenti economici non limpidi, mentre la Procura di Trapani accertava che era stato montato ad arte lo scandalo nei confronti dell’ex direttore amministrativo della Curia, padre Ninni Treppiedi, attraverso denunce e querele presentate proprio dal Vescovo Miccichè, che a sua volta finiva sotto indagine, dapprima per appropriazione indebita e infine per peculato. La Procura aveva riconosciuto in lui la qualifica di pubblico ufficiale nell’uso dei fondi derivanti dall’8 per mille.

La difesa ancora oggi ha provato a dissipare il campo da questa previsione, ma per i giudici la contestazione del reato di peculato è corretta anche se alla fine è andata prescritta.

Domani sera sera al Provinciale Trapani Foggia. Capuano: “Abbiamo grande rispetto del Foggia”

Trapani – Archiviata con una bella vittoria, la Coppa Italia, i granata di Capuano, si preparano alla gara di domani sera fischio d’inizio alle 20,30. La ventesima giornata del campionato di Serie C, la prima del girone di ritorno vedrà al Provinciale Trapani-Foggia. Un match che promette tanto spettacolo visti gli ex che siederanno dall’altra parte. Il Trapani vuole sfruttare il buon momento per consolidare la propria posizione in classifica, mentre il Foggia proverà a riscattarsi.

Il tecnico granata Ezio Capuano nel presentare la gara ha ribadito in modo chiaro che: “Le vittorie vanno nel dimenticatoio, bisogna prepararsi alle altre partite. Abbiamo avuto un impatto importante: abbiamo fatto due gare fuori casa, di cui l’ultima ad Arezzo. Abbiamo fatto più viaggi che allenamenti: siamo andati a Caserta, poi siamo tornati e fatto due giorni fuori per andare ad Arezzo – in quest’ultimo caso abbiamo fatto uno dei risultati più importanti dell’ultimo periodo, perché ci ha permesso di arrivare in semifinale di Coppa Italia, vincendo contro una squadra forte: ciò ci può permettere di essere presenti su due situazioni diverse, con la Coppa che ci potrebbe portare addirittura direttamente nei quarti playoff, vincendola, sarà molto difficile”.

Ma Capuano ha voluto anche sottolineare un fatto importante: “Non snobberemo il campionato, nella maniera più assoluta. Quando c’è un cambio di allenatore, vincere due gare fuori casa con rete inviolata è qualcosa di importante, però è normale che adesso noi abbiamo un’altra partita difficile e importante: in C non ci sono partite facili, specie in questo girone”.

Sull’avversaria Foggia. “Abbiamo grande rispetto del Foggia. Affrontiamo una squadra forse più libera sotto l’aspetto dell’impegno rispetto a noi: spero di arrivare alla partita quanto meno sereno e possibile, coi miei giocatori mi piace arrivare alla partita “scoppiati” e non in tranquillità, per essere più aggressivi e fare calcio come vogliamo. Gli avversari vorranno vincere e anche noi ci proveremo, sapendo che è una partita difficile come tutte le altre. Da quando alleno, non sono mai stato un anno fermo: probabilmente, in questi casi, il valore dell’uomo supera quello dell’allenatore. Torno al Provinciale dopo tanti anni, ricordo con grande orgoglio i campionati con Trapani e Potenza. Come mettere in difficoltà la difesa a quattro di Zauri? Abbiamo lavorato come ogni settimana. Lavoriamo sull’avversario, parlando in generale, cercando di ottemperare alle fonti del gioco, dove loro sono più forti e dove hanno qualche disfunzione. Penso di avere una squadra che può giocare con diversi sistemi di gioco, una squadra forte. Abbiamo fatto risultati importantissimi, come la vittoria di Arezzo che ci apre spiragli; ho cercato di portare esperienza, entusiasmo, inca**atura e meno serenità, perché la serenità nel calcio non esiste. Quando si va in spiaggia bisogna essere sereni, nel calcio bisogna essere inca**ati, cattivi e ignoranti, poi ognuno la vede in un modo… Magari ho portato un po’ di inca**atura rispetto a un po’ di serenità che c’era prima; ringrazio ancora Aronica per avermi lasciato una squadra vera, predisposta al lavoro e ben allenata. Quando subentro, ho l’eleganza di ringraziare sempre: penso di essere una persona molto umile, alla mia età ringraziare penso sia doveroso. Domani sarà una gara difficilissima: gli avversari tenteranno di vincere, come noi. Se tutte e due le squadre vorranno vincere sarà una bella partita, poi il tutto si vedrà in campo“.

“Indisponibili? Abbiamo fatto due gare molto ravvicinate dove abbiamo speso tantissimo, qualcuno sarà acciaccato e non al meglio. Ho cambiato cinque giocatori rispetto a Caserta nella partita di Arezzo, è normale che qualcosa cambierò anche domani. Ho tanti giocatori bravi e posso cambiare tranquillamente. Questa è una squadra di Capuano, loro sono i miei giocatori e io sono il loro allenatore: potremo dare grandi soddisfazioni alla città di Trapani, ma soprattutto a un presidente che ha fatto sacrifici illimitati. I risultati sono alla base degli investimenti fatti e finora gli investimenti non sono alla base dei risultati ottenuti: la partita di Coppa apre spiragli importanti, ma non tralasceremo il campionato, nella maniera più assoluta. Giocheremo le partite a mille, cercando di arrivarci quanto meno sereni e meno tranquilli possibile e, anzi, quanto più “scoppiati” col cervello e inca**ati possibile, com’è successo a Caserta e Arezzo“.

17 milioni di euro per una nuova stazione elettrica e raccordi misti aereo/cavo in provincia di Trapani

Roma – Il progetto, per cui la Società guidata da Giuseppina Di Foggia investirà circa 17 milioni di euro, prevede la realizzazione di una nuova stazione elettrica di smistamento a 150 kV in località Bruca (TP). La nuova infrastruttura sarà connessa all’adiacente sottostazione di Rete Ferroviaria Italiana tramite raccordi misti aereo/cavo alla esistente linea “Custonaci – Alcamo”.

L’opera, inserita nell’ambito degli interventi di sviluppo della rete di trasmissione nazionale, contribuirà alla velocizzazione della linea ferroviaria “Trapani – Palermo”, favorendo una mobilità sostenibile in Sicilia. La nuova infrastruttura migliorerà significativamente la continuità e affidabilità del servizio elettrico, promuovendo al contempo lo sviluppo economico e territoriale dell’area coinvolta. La localizzazione del nuovo collegamento è stata definita in accordo con i Comuni di Buseto Palizzolo ed Erice e con la Soprintendenza di Trapani, nell’ambito del Tavolo di concertazione coordinato dalla Regione Siciliana.

ale procedura è in attuazione degli Accordi vigenti tra Terna e la Regione, finalizzati all’armonizzazione delle pianificazioni energetica e territoriale. A partire dalla data di pubblicazione dellavviso, i cittadini e i proprietari delle particelle interessate avranno 30 giorni consecutivi per visionare la documentazione progettuale presso gli uffici della Regione Siciliana e dei Comuni di Buseto Palizzolo ed Erice e sui rispettivi siti informatici e albi pretori online. Eventuali osservazioni scritte potranno essere trasmesse alla Regione e per conoscenza a Terna.

Inchiesta Aspide: condanne e patteggiamenti

Trapani – L’indagine “Aspide” quella che ha svelato inciuci e corruzioni dentro l’Asp di Trapani è giunta alla pronuncia delle prime sentenze. Le ha pronunciate oggi il gup giudice Caruso. Alcuni indagati sono stati giudicati col rito abbreviato, altri hanno patteggiato.

Nel rito abbreviato la condanna più pesante per corruzione è stata per l’ex dirigente Antonio Sparaco, 4 anni e 4 mesi. Sparaco è stato assolto dagli altri reati tra i quali quello di truffa. Sempre per corruzione, il giudice ha inflitto due anni e otto mesi ad Anna Lisa Bianco, attuale presidente del Consiglio comunale di Trapani e ad Angela Cruciata. Hanno patteggiato invece Antonina La Commare, 5 mesi e 10 giorni (rivelazione segreto d’ufficio), Attilio Giovanni Bonavires 1 anno e sei mesi (corruzione), Giovanni Iacono Fullone, un anno nove mesi e dieci giorni (ecorruzione).

E’ stata rinviata la decisione per l’ex direttore sanitario Gioacchino Oddo, che dovrebbe patteggiare una condanna a due anni nove mesi. E’ uscito dal procedimento con una pronuncia netta di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto il medico Renato Candura. Rinvio a giudizio invece per l’ex manager dell’Asp, Fabio Damiani e per l’ing. Antonella Federico: per loro la prima udienza è fissata per il 12 marzo. Rinvio a giudizio anche per la donna che avrebbe acconsentito ad una richiesta di natura sessuale proposta dall’ex direttore sanitario Oddo, per ottenere il rilascio di una patente, per lei prima udienza il 5 febbraio. Altri indagati sono usciti da tempo dall’indagine con il patteggiamento, la dirigente Asp Maria Pia Messina e il medico Alberto Adragna. Hanno scelto la strada della messa alla prova, per uscire dall’inchiesta giudiziaria, i Carlo e Gaspare Gianformaggio, padre e figlio, quest’ultimo oggi consigliere comunale nel capoluogo.

Era la “figlioccia” e la “postina” di Matteo Messina Denaro

Palermo – Otto anni di reclusione. Questa la richiesta avanzata dalla Procura antimafia di Palermo per Martina Gentile, figlia della maestra di Campobello di Mazara Laura Bonafede, già condannata per associazione mafiosa, risultata essere braccio operativo nella latitanza del boss Matteo Messina Denaro. Per la Gentile, figlia dell’ergastolano Salvatore Gentile, l’accusa è quella di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena. Stamane dinanzi al gip del Tribunale di Palermo è stato il pm Gianluca De Leo a tenere la requisitoria durante la quale ha ripercorso le fasi salienti dell’indagine. Per la Procura di Palermo risulta provato il fatto che la figlia della storica compagna di Matteo Messina Denaro, abbia fatto parte della ristretta rete di fiancheggiatori del boss. Tanto da essere ritenuta la “figlioccia” del boss. Martina Gentile, destinataria a suo tempo di una richiesta di misura cautelare, sottoposta dal dicembre dell’anno scorso agli arresti domiciliari, si sarebbe divisa tra il lavoro in uno studio tecnico di Campobello di Mazara e quello di supplente in una scuola di Pantelleria e l’attività di “postina” per i pizzini del boss.

Corrispondenza che talvolta lei ha nascosto nel passeggino con sua figlia appena nata. Messina Denaro per lei aveva speso parole di apprezzamento per la ragazza, chiamata in codice Tan. Una giovane pronta a recepire i valori mafiosi: in un necrologio dedicato al nonno, il boss di Campobello di Mazara, Leonardo Bonafede, aveva pubblicamente scritto: “onorata di appartenerti”, per la Procura quelle parole sarebbero state indirettamente indirizzate proprio a Matteo Messina Denaro. Martina Gentile è stata quindi “uno degli ingranaggi indispensabili del sistema di comunicazione – hanno sostenuto nella richiesta accolta dal gip – ingegnato dal latitante, grazie al quale questi ha anche potuto mantenere la indispensabile sponda di Laura Bonafede nella condivisione e gestione delle strategie mafiose sul territorio di Campobello di Mazara”.

Si sarebbe interfacciata anche con Lorena Lanceri, la vivandiera di Messina Denaro, moglie di Emanuele Bonafede, altri personaggi cruciali nella latitanza del boss Messina Denaro, e per questo già condannati per mafia. E tutto questo già almeno due anni prima della cattura del pericoloso latitante di Cosa nostra trapanese. E per la “figlioccia” Martina Gentile, Matteo Messina Denaro non sarebbe stato avaro nei regali, per lei anche una collana Bulgari. La giovane donna non ha mai risposto alle domande dei pm, ha solo fatto una dichiarazione spontanea: “Da bambina gli ho voluto bene. Ma ora ho capito di aver sbagliato”. Ma intanto su richiesta della Procura dei minori, Martina Gentile ha perso momentaneamente la responsabilità genitoriale della figlioletta: per i giudici c’è il concreto rischio che la donna trasmetta la subcultura mafiosa alla piccola.

“Non c’è stato alcun arricchimento, le mani del vescovo sono pulite”

Trapani – Quasi tre ore di arringa e altrettante ancora pare ne serviranno all’avvocato Mario Caputo per giungere a quella che appare una richiesta scontata, già dal tenore di questa prima parte di intervento davanti al Tribunale di Trapani, presidente giudice Franco Messina a latere i giudici Nodari e Badalucco. Una richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto, si presume sarà questa quella che formulerà l’avvocato Caputo a totale difesa del suo eccellente assistito, il vescovo emerito della Diocesi di Trapani, mons. Francesco Miccichè. Nel 2012 fu rimosso da Papa Benedetto XVI dalla guida della Curia di Trapani dopo il risultato dell’ispezione disposta dal Vaticano sui conti della Diocesi trapanese, condotta dal visitatore apostolico apposta nominato, l’allora vescovo di Mazara del Vallo mons. Domenico Mogavero.

Nel processo in corso mons. Miccichè si trova imputato di peculato, per avere distratto i fondi destinati alla Curia attraverso l’8 per mille. Fatti distinti, ma il comune denominatore appare essere l’estrema libertà con la quale l’allora vescovo di Trapani avrebbe fatto uso dei soldi finiti nelle casse della Curia. Una indagine penale scaturita da una inchiesta condotta per mesi e mesi dalla sezione di pg della Guardia di Finanza. La Procura all’esito del processo, durato 4 anni, 25 udienze, circa 50 i testimoni sentiti, ha chiesto per mons. Miccichè una condanna a quattro anni e sei mesi. La difesa con l’avvocato Mario Caputo, si è da subito mossa con il determinato intento di smontare le ipotesi di accusa, dicendo a chiare lettere che potevano essere ricercate le prove circa l’insussistenza dell’accusa, “ma questo non è stato fatto”. Anzi, l’avvocato Caputo, ha aggiunto che a suo vedere, rileggendo le pagine e pagine degli atti di indagine e quelli processuali, quanto detto dai testimoni e dai consulenti, “mons. Miccichè si trova imputato per non aver fornito le giustificazioni a movimenti bancari la cui illiceità la Procura avrebbe dovuto dimostrare, ma si è limitata solo ad annotare una serie di cifre in uscita”. Per l’avvocato Caputo “sarebbe stato accedere al computer usato dall’economo della Diocesi per trovare i riscontri, nessun soldo ha avuto destinazione diversa da quella sancita, opere di carità , assistenza al clero”.

Non è mancata anche il riferimento alle cronache giornalistiche, “mons. Miccichè vittima di una campagna mediatica”. “Cominciò un giornale di Alcamo scrivendo che il vescovo si era appropriato di 1 milione di euro dopo che due fondazioni erano state fuse in una sola (Auxilium e Campanile), accusa però risultata infondata, per poi continuare con racconti circa episodi di furto, appropriazione indebita, ricettazione, anche accuse di pedo pornografia, tutte vicende finite in archivio, è rimasto solo questo processo” ha sottolineato l’avvocato Caputo. “Ma questo processo non doveva essere nemmeno celebrato”.

La storia è nota, ma va riepilogata. Tra il 2009 e il 2012 circa 400 mila euro provenienti dalla Caritas, tratti dall’8 per mille, sono finiti dai conti correnti dedicati a quello della Curia e da qui attraverso prelevamenti, “mai direttamente fatti dal vescovo Miccichè”, secondo l’accusa anche sul conto anche personale dell’imputato. Denari dei quali sarebbero stati beneficiari anche i suoi familiari (in aula ieri erano presenti la sorella e il cognato Teodoro Canepa) per acquisto e ristrutturazione di immobili di pregio a Palermo e Monreale. “I rendiconti presentati alla Cei (Conferenza Episcopale Italiana) sull’utilizzo dei fondi dell’8 per mille – ha sottolineato l’avvocato difensore di Miccichè – sono stati sempre tutti approvati, di sbagliato c’è solo l’aver riversato il denaro nel conto corrente della Curia, ma qui i testi ci hanno detto che ciò ha sempre rappresentato una prassi, niente dolo dunque”.

Diverso l’avviso della Procura. Quei soldi trasferiti dai conti dedicati a quello della Curia, una volta impiegati non finivano nel rendiconto ufficiale da inviare alla Cei. Soldi mal spesi? “Ma quando mai, sono sotto gli occhi di tutti gli interventi realizzati, dalla biblioteca diocesana, al monastero delle Clarisse, dalla Chiesa Regina Pacis agli aiuti per il Terzo Mondo, anche per gli aiuti alle popolazioni di Haiti dopo un devastante terremoto”. C’è la parte dei una certa somma finita a favore dei familiari, “basta cercare le prove e trovare la restituzione di somme in contanti da parte del vescovo al cassiere della Curia”. Nella memoria dell’accusa si descrivono però atti e comportamenti di altro tenore, si indica il possesso di un portafoglio titoli, tenore di vita sfarzoso, proprietà immobiliari. Come documentato dall’azione di indagine della Guardia di Finanza. Ma per la difesa si tratta di “affermazioni improprie”.

Si è citato il teste Occhipinti, ex autista personale del vescovo, “che ha fatto cenno come spesso una panino era sufficiente per il pasto durante i loro spostamenti”, ha poi definito normale che il vescovo Miccichè “possa aver investito le proprie liquidità, tratte dallo stipendio da vescovo, nei titoli”. Il difensore ha anche parlato di una cifra ingente , 193 mila euro, percepita tra il 2007 e il 2012 per l’esercizio della propria attività ecclesiale, cerimonie di vario genere, che puntualmente destinava al Seminario vescovile: “se era uno avvezzo al denaro – ha sottolineato l’avv. Caputo – avrebbe avuto ottima occasione per tenere per se quel denaro che era frutto di offerte”. Per il difensore di mons. Miccichè le testimonianze che la Procura ha indicato essere fonte di prova, quella dell’ex direttore della Caritas, Sergio Librizzi (sospeso dalla tonaca dopo essere finito condannato per gravi reati di violenza sessuale), e dell’ex direttore amministrativo della Diocesi, mons. Ninni Treppiedi, non sarebbero così decisive per poter accusare l’ex vescovo Miccichè.

L’arringa proseguirà la prossima settimana, poi, dopo la replica del pm, ci sarà la sentenza. “Mi auguro – ha detto l’avvocato Caputo – che alla fine potranno essere coincidenti la verità processuale e quella reale, a favore del mio assistito”.

La mafia a Mazara del Vallo, la Finanza esegue 18 misure cautelari [VIDEO]

Mazara del Vallo – Il cuore degli affari mafiosi a Mazara del Vallo nelle mani di un allevatore, Domenico Centonze. Ma non solo. Il blitz scattato nelle prime ore di oggi e condotto dalla Guardia di Finanza ha permesso di scoprire ancora una volta come la mafia trapanese mantiene il suolo ruolo imprenditoriale e in particolare nel settore dei centri commerciali, attraverso l’imprenditore Luigi Prenci. Nelle prime ore di questa mattina, i finanzieri del Comando Provinciale Palermo hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali emessa dal G.I.P. del Tribunale di Palermo, su richiesta della locale Procura della Repubblica – D.D.A., nei confronti di 18 soggetti, di cui 7 in carcere, 10 ai domiciliari e un destinatario dell’obbligo di dimora nel comune di residenza.

Contestualmente, sono in corso di svolgimento perquisizioni presso le abitazioni e gli altri luoghi nella disponibilità degli indagati, nei cui confronti si procede, a vario titolo, per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, porto abusivo d’armi, turbata libertà degli incanti, estorsione, rapina e favoreggiamento personale.
Le indagini, condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo, hanno permesso di far luce sulle trame illecite poste in essere dalla famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, disvelando i rapporti verticistici esistenti tra gli affiliati. Le indagini sono state concentrate su Domenico Centonze, diventato l’’uomo forte del mandamento. Sarebbe diventato lui, allevatore di mestiere, il braccio operativo del capo mandamento Dario Messina, attualmente detenuto. In carcere finisce anche il fratello del boss, Alessandro Messina. Centonze si sarebbe occupato di riscuotere crediti, dirimere controversie, gestire le aree di pascolo, gestire l’aggiudicazione di alcuni terreni all’asta, risolvendo in maniera minacciosa e violenta alcuni contrasti insorti, organizzare un traffico di stupefacenti tra Palermo e Mazara del Vallo. Per la Procura di Palermo sarebbe stato nelle sue mani la gestione delle attività criminali della Cosa nostra diventata impresa, secondo i dettami del defunto capo assoluto Matteo Messina Denaro. Tra gli arrestati anche Pietro Burzotta e Paolo Apollo, legati alla cosca mazarese.

Parallelamente, è stato possibile ricostruire le dinamiche criminali che hanno favorito lo sviluppo, in territorio trapanese, di una capillare rete di supermercati riconducibile a un noto imprenditore mazarese: Luigi Prenci, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, dal 2020 ha aperto una serie di supermercati e per questo avrebbe potuto contare sull’appoggio della mafia, diversificando gli affari. È diventato armatore e i suoi pescherecci si sono specializzati nella pesca del gambero rosso. In cambio del sostegno mafioso Prenci avrebbe assicurato a Cosa Nostra posti di lavoro, aiuti finanziari per l’avvio di nuove attività economiche, l’acquisto di beni all’asta che in questa maniera tornavano nella disponibilità di persone contigue all’associazione mafiosa. I reati contestati sono associazione per delinquere di stampo mafioso, porto abusivo d’armi, turbata libertà degli incanti, estorsione, rapina e favoreggiamento personale.

L’odierna attività di servizio, che ha previsto l’impiego di oltre 150 fiamme gialle, testimonia la costante attenzione e il perdurante impegno della Guardia di Finanza, nell’ambito delle indagini delegate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, al fine di contrastare ogni possibile tentativo di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico-produttivo, nell’ottica di garantire al mercato le necessarie condizioni di legalità e competitività.